martedì, agosto 15, 2006

Primi giorni

Ciao, finalmente abbiamo tempo per scrivere. I primi giorni sono stati davvero intensi. Vi facciamo un bel riassunto. È molto lungo ma deve coprire i giorni più difficili. In futuro saremo più sintetici (e comunque, ovviamente, legge solo chi ne ha voglia).

VENERDÌ 11

Sveglia di buon mattino e partenza, in corteo, alla volta del glorioso Guglielmo Marconi di Bologna. Guida Quinto, segue Mauro ed infine Ale. Solo quattordici persone, perché una zia e due cugine di Paolo ci aspettavano già a Bologna. In tutto siamo entrati in aeroporto in diciassette. Forse sarebbe stato meglio noleggiare un pullman.

La ragazza al check-in ha dato fin da subito segnali chiari di essere ancora nel dormiveglia, e di conoscere molto poco il lavoro che svolgeva. È anche da capire: siamo arrivati al bancone in 17 persone e 7 bagagli con 2 biglietti...

Dopo gli ultimi (almeno così credevamo) struggentissimi saluti, abbiamo varcato la dogana e, con molto anticipo e disciplina ci siamo messi ad attendere il nostro volo. Poi, a pochi minuti dall’imbarco, è accaduto il terrore di ogni viaggiatore. Tutti gli altoparlanti dell’aeroporto si sono messi a strillare “Il signor Paolo Bocchini è atteso all’accettazione numero 17”. Siamo caduti nel panico più completo, anche perché nessuno attorno a noi sapeva cosa fosse l’”accettazione”, nemmeno i poliziotti e gli operatori. Abbiamo dedotto che doveva essere un termine improprio, quindi abbiamo concluso che doveva essere opera di quel GENIO che stava al check-in. Per risparmiare tempo abbiamo deciso che la Nico sarebbe rimasta al di là della dogana con i bagagli a mano, mentre Paolo sarebbe corso al check-in. Ovviamente al bancone c’era già tutto il gruppo dei parenti che protestava animatamente per capire quale fosse il problema. Mattia ed Ale, invece, avevano schierato i quattro bimbi a sedere nel mezzo della hall, per farli stare calmi. MITICI! La ragazza al check-in, ha poi spiegato a Paolo che una nuova direttiva appena giunta, proibiva ogni bagaglio a mano diretto negli USA. La scelta di lasciare la Nico ed i bagagli al di là della dogana, quindi si è rivelata sbagliata (certo che se la svegliona ci avesse chiamati entrambi…), Paolo ha dovuto richiamare la Nico e, con la paura di perdere il volo, abbiamo imbarcato nella stiva il portatile di Paolo, la videocamera, la macchina fotografica, l’i-Pod, i gioielli e tutto il resto, senza alcuna protezione. Inutile descrivere la paura che abbiamo avuto finché, al JFK, non abbiamo potuto riaprire le valigie.

Il volo ha fatto tappa a Vienna, e dopo un giretto per il centro della città (c’è un treno che collega l’aeroporto ed il centro, sembra un’astronave, ma va più lento di un regionale Savignano-Forlimpopoli) ed uno spuntino ci siamo resi conto che in “tutto il resto” che era nei bagagli a mano c’erano anche documenti che ci sarebbero serviti alla dogana al JFK. Purtroppo un funzionario dell’aeroporto di Vienna ci ha detto che ci lasciava partire, ma non ci avrebbe fatto recuperare i documenti. Dopo mille controlli antiterrorismo, cani antibomba che ci annusavano di continuo e perquisizioni varie (erano convinti che il Labello della Nico potesse esplodere e ce lo hanno sequestrato) siamo riusciti ad imbarcarci nuovamente. Il volo è stato lunghissimo, un po’ noioso, ma anche carico d’ansia. Non avevamo nemmeno un libro da leggere... Non potete immaginare lo spettacolo che è la baia di Long Island vista di notte dall’alto. A quel punto pensavamo di avercela fatta, ma c’era ancora l’incognita dei documenti nella stiva. Dopo circa un’ora di fila siamo riusciti a fare dogana, ma un attimo prima di lasciarci passare, l’ufficiale si è accorto che fra i mille documenti che avevamo presentato ne mancava uno. Paolo ha provato a spiegare la storia, ma il poliziotto non ha voluto sentire ragioni e ci ha fatto fare un’altra fila, alla fine della quale, scortati, abbiamo potuto aprire il bagaglio, prendere il documento, mostrarlo ed entrare.
USA!!!
Appena usciti ci ha assalito un soggetto loschissimo che voleva portarci in Taxi, ma mentre Paolo, rifiutando, si dirigeva verso la fila dei taxi gialli, la Nico aveva già dato tutti i suoi bagagli ED IL COMPUTER DI PAOLO al pachistano. Per fortuna, alla fine siamo riusciti a recuperare le nostre cose, a salire su un taxi ed a raggiungere l’International House. Quando abbiamo visto in lontananza le sagome illuminate dell’Empire state Building e del Chrisler Building abbiamo capito che era tutto vero. Che giornata!!!

SABATO 12

Fregandocene del fuso, ci siamo svegliati alle 6 di mattina (e la Nico continua a farlo!!!) ed abbiamo cominciato a perlustrare l’International House (IH) ed il quartiere in cerca di... tutto. Usciti dalla casa potevamo scegliere se andare a destra o a sinistra. Purtroppo siamo andati a sinistra. Ci siamo trovati nel mezzo di Harlem, quartiere squallidissimo, sporco, povero, pieno di facce molto losche, e ci siamo subito scoraggiati. L’unica cosa buona è il “99c” un negozio in cui vendono tutto a 99 centesimi di dollaro O MENO. E non è nulla di paragonabile ai nostri negozi a “tutto a un euro” perché lì c’è veramente TUTTO. Paolo ormai è di casa, e se non ci va almeno un paio di volte al giorno si preoccupano. Grazie a Christian per la dritta! Abbiamo anche cercato una chiesa per partecipare alla Messa domenicale. La più vicina all’IH è la grandissima Riverside Church. Anche quella è gestita in maniera ben diversa da come siamo abituati: per entrare bisogna registrarsi e prendere il cartellino con scritto il nome. Dentro puoi trovare ogni tipo di funzione religiosa, di OGNI RELIGIONE. La chiesa è proprio solo una struttura, un luogo di culto interreligioso. Dentro convivono pacificamente un po’ tutti. Ogni ministro si “affitta” un certo spazio, per un certo orario. Il pranzo è stato da un Subway gestito da due messicani (e qui grazie ad Alle) ma la Nico non è stata molto contenta.

Al pomeriggio siamo andati a down-town in metropolitana, abbiamo visto ground-zero (dove c’erano le torri gemelle, ed ora c’è un gran buco), il “Century 21” (il grande magazzino coi prezzi più bassi di NY, grazie Chris!!!) e altre amenità. Alleghiamo anche la foto con Paul&Nick ed una famosa signorina francese che sta a NYC da un pezzo sullo sfondo. Quando siamo scesi dalla metropolitana ci siamo trovati in un mondo nuovo e strano, dove è vero che il palazzo più basso ha 100 piani, dove tutte le strade sono larghissime e tutte le auto enormi. L’uomo è un puntino.

Alla sera, dopo aver mangiato nel ristorante più vicino a casa (che purtroppo era italiano), siamo tornati a casa alle 9, ci siamo appoggiati nel letto sporchi, vestiti e con le luci accese e siamo crollati lì, entrambi, fino alla mattina dopo.

DOMENICA 13

La Nico si è svegliata alle 6, siamo andati a far colazione e a cercare una messa alla Riverside Church, ma la prima “cattolica” era alla 10.45. Abbiamo quindi girato un po’ per Morningside Heighs, il nostro quartiere, ed abbiamo scoperto un mondo completamente diverso da Harlem: bello, pulito, pieno di giovani, e imperniato sull’enorme Campus dalla Columbia che è veramente qualcosa di stupendo! È incredibile, il fatto che non esista UNA New York, ma MILLE: solo camminando per 50 metri in una direzione o nell'altra puoi trovarti in due mondi completamente diversi. Ci sono confini non scritti, ma chiarissimi, e stiamo imparando ad orientarci.
Abbiamo anche trovato un’altra chiesa vicina a casa nostra, molto più simile alle nostre parrocchie (c’è persino il foglio di collegamento!). Abbiamo deciso di andare a Messa lì. Fanno un pontificale in latino ed una messa in spagnolo per ogni solennità, ed hanno un coro gregoriano fantastico. Eppure è una chiesina molto piccola, con tutte le caratteristiche di una parrocchietta italiana. Ovviamente c’è anche il sacerdote che saluta tutti i fedeli all’uscita stringendo loro la mano (ma sui vari “Esiste davvero!” faremo un post specifico).

Avendo trovato tanti nuovi negozi e supermercati (qui aperti 24 ore al giorno e 7 giorni la settimana) abbiamo comprato il necessario per pulire l’appartamento. Abbiamo anche comprato le cose da mangiare. All’inizio non riuscivamo a trovare nulla, ma alla fine abbiamo comprato anche la pasta e il lievito per la pizza.
Non siamo ancora riusciti ad integrarci nel tradizionale “brunch” domenicale, ma forse la settimana prossima proveremo anche noi l’emozione di bere un cappuccino da un litro, mangiando ogni genere di schifezza.
La domenica pomeriggio è stata dedicata allo spaludamento dell’appartamento. Da buona residenza per studenti, c’era sporco secolare in ogni dove.
Cena nel posto più vicino all’appartamento dopo il ristorante italiano, che purtroppo era McDonald’s. La sera siamo crollati come sabato, ma essendo un po’ più esperti, ci siamo almeno spogliati e lavati.

LUNEDÌ 14

La mattinata è stata dedicata nuovamente alle pulizie. Alla fine la casa aveva cambiato colore e, soprattutto, odore. A tal proposito dobbiamo anche dire che aveva perfettamente ragione Giggi: a New York c’è la puzza. Non si capisce bene da dove venga e di cosa sia, ma tutta la città è pervasa dalla stessa puzza di fondo. Ormai, comunque, siamo assuefatti e non la sentiamo più.
Il lunedì pomeriggio abbiamo visto Madison square, l’Empire State Building e siamo andati da Macy’s: il più grande “grande magazzino” del mondo. La Nico è ancora sconvolta: c’era uno spazio grande come un nostro ipermercato (ma forse di più), dedicato solo alle cravatte, un altro dedicato solo ai cosmetici... e così per ogni cosa. È rimasta nauseata persino la Nico, siamo usciti quasi subito (ma Paolo teme fortemente che, tornando più preparata, possa fare di meglio...).

MARTEDÌ 15

Dopo la colazione abbiamo aperto un conto corrente, e siamo andati a Messa per l’Assunzione. Il Sacerdote, vedendoci per la seconda volta, ci ha attaccato la pezza, ci ha presentato un Prof. Associato italiano che ora vive qui ed uno studente americano che vive con noi all’IH. È il nostro primo amico, è arrivato giovedì, si chiama Derek e questa sera lo raggiungerà sua moglie Lora; sono entrambi musicisti.

Ed eccoci qui, finalmente abbiamo avuto un po’ di tempo per fermarci e per scrivervi.
Insomma, qui stiamo bene, ma è tutto un po’ difficile. Ci sono difficoltà che chi non prova non può nemmeno immaginare. Nemmeno noi le immaginavamo. Trovarsi qui senza niente, senza sapere dove cercare le cose che ci servono, senza sapere come portarle a casa, diventa un problema anche comprare un lenzuolo (qui non hanno le misure in centimetri o pollici, qui le misure sono “twin”, “full”, “queen”, “king”, ma ci abbiamo messo un secolo per capirlo e per capire quale ci servisse, e questo è solo il più stupido dei mille esempi; la Nico non è ancora riuscita a trovare il burrocacao, e pensare che ci sono farmacie che sembrano ipermercati). Per noi ogni piccolo passo avanti è un’enorme conquista, e, anche se non siamo ancora a regime, ci sentiamo sulla buona strada.
Stiamo imparando ad orientarci bene, a capire dove dobbiamo andare e dove NON dobbiamo andare. Stiamo conoscendo persone, stiamo imparando le loro abitudini, stiamo raccogliendo informazioni. E tutto ciò vale molto più di mille libri.

P&N

1 commento:

PB ha detto...

Per Christian

In effetti non abbiamo ancora visto ratti né altri roditori in giro... ma non siamo ancora riusciti ad andare a central park.
Ovviamente abbiamo chiesto il lip stick da Duane Ready, ma non l'avevano. In compenso l'abbiamo trovato, per la gioia del Bic, in un supermercato accanto al campus della Columbia. Probabilmente domenica siamo proprio andati nella brasserie che consigliavi tu, ma ci siamo limitati ad una fantastica chicken salad. Grazie di tutto, stiamo facendo tesoro dei consigli, passati, presenti e futuri.